Il VLT
Il Very Large Telescope
Sono arrivato ad Antofagasta con il proposito di prenotare una visita del VLT, il Very Large Telescope, uno dei più grandi centri astronomici al mondo, nonché l’osservatorio astronomico più d’avanguardia nella banda del visibile. Sapevo che era necessario prenotare almeno tre settimane in anticipo. Ho chiamato immediatamente il centro astronomico prenotando per un sabato (le visite al pubblico vengono organizzate solo i week-end): il primo gruppo, la prima visita del giorno, appuntamento all’entrata del complesso astronomico alle ore 9:00. Avrei provato una delle emozioni più intense della mia vita dopo circa 15 giorni da quel momento. E così è stato. Per l’occasione ho dovuto noleggiare una auto, aspetto obbligatorio per qualsiasi visitatore considerando l’assenza di mezzi di trasporto pubblici per arrivare a destinazione.
Partenza da Antofagasta alle 6:30 per riuscire ad arrivare in largo anticipo. Un viaggio in macchina molto emozionante per un astrofilo come me. Allontanandosi dalla città per addentrarsi sempre di più nella zona desertica a sud ci si rende ben presto conto del contesto estremamente secco, brullo e montuoso che contraddistingue l’area scelta per la realizzazione del VLT, così come per qualsiasi altro centro astronomico del paese. Un’umidità relativa media compresa tra il 5 e il 10%, più di 300 notti all’anno di cielo sereno, la straordinaria assenza di precipitazioni (sul Cerro Paranal non ha mai piovuto a memoria d’uomo) e l’altitudine (2635m) fanno di questo posto uno dei migliori siti al mondo per la ricerca astronomica, se non il migliore in assoluto. Una straordinaria combinazione di fattori naturali, a cui si aggiunge anche la lontananza da fonti luminose (la più intensa è proprio la città di Antofagasta, a più di 130 km di distanza) e l’effetto della corrente di Humboldt (si consiglia la lettura dell’articolo “La corrente di Humboldt, la cella di Hadley e l’effetto Föhn – La combinazione perfetta”).
In viaggio verso il VLT (Very Large Telescope), regione di Antofagasta
Il panorama dall’ingresso dell’impianto astronomico è unico. La quota del Cerro Paranal, la montagna sulla cui vetta è stato realizzato il VLT, permette di ammirare la zona montuosa desertica circostante. I 4 grandi telescopi del VLT sono già visibili anche se, per raggiungerli, è necessario guidare per altro paio di minuti. L’emozione cresce. L’area ingegneristica è proprio lì, sulla destra, molto vicino al primo ingresso del centro astronomico. Salendo lungo la strada ci avviciniamo alla vetta del Cerro Paranal fino a quando…eccoli apparire! Quattro enormi telescopi principali (Unit Telescopes: UTs), con specchio primario di diametro pari a 8,2 metri e secondario pari a 1,12 metri, affiancati da 4 telescopi ausiliari (Auxiliary Telescopes: ATs) più “piccoli”, con specchio primario di diametro pari a 1,8 metri. Antu, “il Sole”, Kueyen, “la Luna”, Melipal, “la Croce del Sud” e Yepun, “Venere”, sono i nomi in lingua Mapuche scelti dalla ESO (European Southern Observatory), l’organizzazione europea per la ricerca astronomica nell’emisfero australe, per questi colossi della scienza in occasione dell’inaugurazione dell’osservatorio avvenuta nel pomeriggio del 5 marzo 1999, dopo 8 lunghi anni di lavoro per predisporre il Cerro Paranal al progetto edile della ESO e per ultimare l’installazione del grande impianto astronomico. Con un’immagine ad altissima risoluzione della galassia a spirale NGC 2997, Antu è stato il primo Dei 4 UTs, tutti telescopi riflettori a grande campo Ritchey-Chrétien a montatura altazimutale, a fornire prova della straordinarietà del potenziale del nuovo impianto e quindi il primo dei grandi telescopi ad essere utilizzato.
Una volta raggiunto il complesso astronomico, si presenta una guida volontaria e la visita di due ore ha inizio. Il percorso, con un video di presentazione iniziale (lo stesso in ogni altro osservatorio ESO), offre una visita a due dei 4 grandi telescopi, passando per l’area operativa e per la Residencia, un vero e proprio Hotel, costruito sfruttando una depressione del suolo montuoso, dove di giorno riposano gli astronomi in attività durante la notte.
Una delle più piacevoli sensazioni è stata proprio l’impressione che quel posto, più di qualunque altro impianto astronomico che ho potuto visitare, rappresentasse la mia passione “al completo”, la “salvezza” per l’Astronomia, il luogo perfetto per garantire un grande futuro alla ricerca astronomica, sentendosi come non mai vicino alle stelle, anche senza vederle. Inoltre, la possibilità di potersi candidare come guida volontaria per le visite pubbliche del week-end (dopo un breve corso di formazione) entusiasma ancor di più qualsiasi grande appassionato di Astronomia.
Ma qual è il vero segreto del VLT? Quale aspetto rende il famoso impianto così importante e unico a livello mondiale?
Operativo da maggio 1999 (telescopio Antu), il VLT è ad oggi lo strumento ottico più avanzato del mondo e la più importante struttura per ricerca astronomica da terra. Ma in cosa risiede la sua unicità? Ha forse a che fare con la sua grandezza? No, la misura dello specchio primario dei grandi telescopi, anche se sorprendente e aspetto fondamentale in termini ottici, non è il vero segreto del VLT. Basta una semplice ricerca in Internet per scoprire che nel mondo esistono telescopi ottici con specchi ben più ampi. Ne sono un esempio l’LBT (Large Binocular Telescope) del Mount Graham International Observatory, con specchio primario di diametro pari a 8,4 metri (USA, Italia, Germania), il GTC (Gran Telescopio Canarias) dell’Osservatorio del Roque de los Muchachos (Spagna), con specchio primario di diametro pari a 10,4 metri o i telescopi del Keck Observatory (USA), entrambi con specchio primario di diametro pari a 10 metri.
Il vero segreto del VLT risiede in due delle sue tre possibili modalità operative.
La prima consiste nell’utilizzo individuale di ogni singolo UT per ottenere immagini di oggetti celesti quattro milioni di volte più tenui di quelli percepiti ad occhio nudo durante una limpida notte sotto le stelle. La seconda modalità consiste nell’utilizzo del VLT come unico strumento non coerente, combinando la luce raccolta da tutti i grandi telescopi che, in termini quantitativi, si traduce nella stessa quantità di luce raccolta da un telescopio di 16 metri di apertura. Grazie all’applicazione dello spettrografo di terza generazione ESPRESSO inaugurato a novembre 2017, quest’ultima modalità operativa basata sulla combinazione incoerente della luce, ossia una combinazione frutto di una semplice somma della luce raccolta da ogni singolo UT, ha reso di fatto il VLT il più grande telescopio ottico al mondo oggi operativo in termini di superficie di raccolta della luce.
L’immagine mostra in modo semplificato come la luce raccolta dai quattro telescopi del VLT viene combinata nello strumento Espresso, che si trova al di sotto della piattaforma dell’impianto astronomico.
Tale traguardo verrà superato nel giro di qualche anno dall’ELT, l’Extremely Large Telescope, in fase di costruzione presso il Cerro Armazones, e la cui prima luce, ossia l’evento in cui uno strumento astronomico viene utilizzato per la prima volta, è prevista per il 2024.
Prima di chiarire la terza modalità operativa del VLT, è necessario far luce con parole semplici su due aspetti fondamentali del vasto mondo dell’Astronomia.
Perché la curiosità spinge l’uomo a costruire telescopi sempre più grandi? In cosa consiste l’interferometria e com’è nata?
In poche parole, più ampio è lo specchio primario di un telescopio, maggiori saranno i dettagli raggiunti in quanto maggiore sarà la quantità di luce raccolta dallo strumento. In termini di quantità di luce, un telescopio con specchio primario di diametro doppio rispetto ad un altro riuscirà a raccogliere una quantità di luce quattro volte superiore. E’ proprio per questo motivo che, riprendendo la seconda modalità operativa del VLT, la somma delle aperture dei 4 UTs corrisponde in termini di resa a un telescopio di apertura pari a 16 metri e non 32. In campo astronomico però, la costruzione di specchi più ampi comporta spese notevoli e risulta quindi molto dispendioso anche solo aumentare di qualche metro il diametro di un telescopio ottico da terra. Basti pensare ai costi di realizzazione del progetto del VLT, costato circa 500 milioni di dollari, o quelli per la costruzione del futuro ELT (Extremely Large Telescope) stimati in oltre un miliardo di Euro.
Per ovviare al problema degli elevati costi di realizzazione, gli astronomi hanno quindi sviluppato una nuova tecnologia per riuscire a conseguire gli stessi risultati di risoluzione e dettagli ottenuti: l’interferometria. Questa tecnica di osservazione combina la luce ricevuta da due o più telescopi e consente loro di agire come un’unica unità con uno specchio di diametro equivalente alla distanza tra i telescopi.
Ed è proprio sull’interferometria che la terza modalità operativa del VLT poggia i suoi principi.
Il terzo modus operandi del VLT, conosciuto come modalità interferometrica, consiste appunto in una ricombinazione della luce raccolta contemporaneamente dai 4 ATs o, molto più raramente, dai 4 UTs con l’obiettivo di migliorare notevolmente la risoluzione d’immagine.
Mi riferisco al famoso VLTI, il Very Large Telescope Interferometer.
Interamente incentrato su tecniche di speckle imaging, ossia un insieme di tecniche osservative basate su tecnologie il cui unico scopo è quello di migliorare la risoluzione di immagini astronomiche ottenute con telescopi da terra, il VLTI sfrutta quasi esclusivamente l’azione osservativa degli ATs, concepiti e realizzati proprio con il fine dell’interferometria e, quindi, ottimi sostituti degli UTs che nella maggior parte dei casi vengono utilizzati in modalità individuale.
Comandati da remoto dal centro operativo VLTI, Gli ATs, a differenza degli UTs, sono telescopi mobili, e posso quindi essere spostati liberamente su binari con la possibilità di essere collocati in 30 diverse posizioni lungo la piattaforma del centro astronomico.
Questa libertà di posizionamento permette di aumentare la distanza tra i telescopi ausiliari, conosciuta come “base interferometrica” (interferometric baseline) fino a raggiungere la maggior distanza possibile, pari a 202 metri rispetto ai 130 metri degli UTs. Con una tale base interferometrica la risoluzione e i dettagli raggiunti tramite interferometria corrispondono a quelli che si otterrebbero con un telescopio di 100 metri di apertura.
Quindi, l’impiego dei telescopi ausiliari permette di ottenere il più alto risultato di imaging interferometrico possibile.
Tramite un complesso sistema di specchi riflettenti posti lungo gallerie sotterranee, i fasci di luce provenienti dai 4 telescopi vengono convogliati nello stesso punto focale comune e indirizzari verso gli strumenti combinatori del VLTI: PIONIER e GRAVITY per una ricombinazione nel vicino infrarosso e MATISSE nel medio infrarosso. Durante il percorso verso gli strumenti combinatori, la traiettoria del fascio luminoso viene mantenuta con una precisione di 1/1000 di millimetro per oltre 100 metri.
Risultati? Dettagli 25 volte maggiori rispetto a quelli percepiti da un singolo UT o, in termini più tecnici, dei dettagli che per essere ottenuti in assenza di modalità interferometrica richiederebbero un telescopio di apertura pari all’ampiezza dell’area delimitata dai telescopi coinvolti.
L’ottica attiva e adattiva
Tra le più importanti innovazioni tecnologiche degli ultimi anni in campo astronomico non possono essere tralasciate quelle dell’ottica attiva e adattiva, applicate per la maggior parte dei telescopi ottici da terra di grandi dimensioni.
La prima tecnica, applicata dai primi anni ’80, è stata sviluppata come risposta alla necessità di ovviare al problema della deformazione di specchi primari di diametro superiore ai 3 metri, realizzati con uno spessore progressivamente ridotto per diminuirne il peso e, quindi, per agevolare la realizzazione dei grandi impianti astronomici. Come nel caso del VLT, la rotazione dei grandi telescopi provoca inevitabilmente un’oscillazione del grande specchio primario che si traduce in una deformazione dello stesso. La soluzione a questa distorsione naturale, inversamente proporzionale allo spessore dello specchio, è stata riconosciuta nell’applicazione di “pistoncini” posti alla sua base e posizionati su una cella estremamente rigida e che, una volta attivati, regolano automaticamente la forma e la posizione dello specchio durante tutta l’attività osservativa. Tramite costante monitoraggio di una stella di riferimento e analisi computerizzata, questa tecnica permette di correggere il più piccolo fenomeno di distorsione, assicurando la massima qualità d’immagine. Ovviamente, questa tecnica è stata applicata per il nostro VLT: lo specchio primario di ogni UT poggia su 150 attuatori.
Nonostante i grandi risultati ottenuti, l’ottica attiva non riesce però a risolvere il problema della turbolenza atmosferica.
Ed è proprio qui che entra in gioco l’ottica adattiva, una delle più moderne tecniche in campo astronomico.
L’effetto della turbolenza atmosferica, conosciuto nel mondo dell’Astronomia e dell’Astrofotografia con il termine seeing, condiziona l’osservazione astronomica in qualsiasi parte del pianeta, compreso il Cerro Paranal, riducendo la risoluzione, cioè la capacità di distinguerne i dettagli.
L’umidità e l’insieme di gas atmosferici provocano infatti una distorsione dei fasci di luce provenienti da qualsiasi oggetto astronomico. Il risultato a livello osservativo ad occhio nudo si traduce nel classico luccichio stellare che, in presenza di buon seeing e quindi buone condizioni di turbolenza atmosferica, risulta talvolta impossibile da notare dandoci la rara possibilità di ammirare stelle perfettamente puntiformi. Ad altissimi livelli, però, le cose cambiano, specialmente se l’obiettivo è raggiungere risultati sorprendenti. Questo fenomeno può essere risolto osservando direttamente dallo spazio, come nel caso del telescopio spaziale Hubble e del telescopio James Webb, ormai prossimo al lancio.
Ma da terra?
A partire dai primi anni ’90 è stata sviluppata la tecnologia delle ottiche adattive, in cui un dispositivo, chiamato sensore di fronte d’onda, osserva una stella e analizza la sua distorsione per capire come deformare uno specchio del telescopio al fine di ripristinare l’immagine della stella stessa e, conseguentemente, di tutti gli oggetti nei suoi dintorni. Il fatto che la turbolenza cambi rapidamente richiede sensori di fronte d’onda estremamente sensibili e capaci di campionare la distorsione in migliaia di punti, e un’elettronica capace di dare indicazioni allo specchio deformabile in una frazione di millesimo di secondo. Inoltre, se l’oggetto astronomico che si vuole studiare non ha una stella sufficientemente brillante nei dintorni, il Very Large Telescope può crearne una artificiale sparando un fascio laser in direzione dell’oggetto.
La tecnica dell’ottica adattiva permette quindi di ottenere immagini con la stessa risoluzione di quelle ottenute dallo spazio..se non superiori.
Montato di recente sulla struttura a “ragno” in cima all’UT4 (Yepun) del VLT, il nuovo specchio secondario deformabile è il più grande specchio adattivo mai costruito ed è il cuore del nuovo sistema di ottiche adattive che permetterà al telescopio di produrre immagini ancora più nitide.
Immagine del pianeta Nettuno con e senza l’utilizzo di ottica adattiva
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